IV. Disoccupazione conservativa
In tutti quei casi in cui lo stato di occupazione può generare obblighi di esborsi monetari da parte delle famiglie finanziatrici, si dovrebbe procedere ad una sorta di analisi comparativa tra il “costodella disoccupazione (in termini di mancato benessere/mancata utilità) e il “costodell’occupazione (in termini di mancato risparmio/contrazione dei consumi). Quando l’occupazione inversa/onerosa “costa” più della disoccupazione, allora la mancanza di lavoro è – da un punto di vista economico-matematico – una “buona notizia”, non solo per le famiglie (che possono consumare e risparmiare di più), ma anche per il sistema economico nella sua interezza, grazie proprio all’aumentata capacità di risparmio e consumo delle famiglie.
Proprio come dovrebbe accadere per le statistiche sull’occupazione, del tutto simmetricamente, anche le statistiche sulla disoccupazione andrebbero sottoposte al medesimo trattamento.
In pratica si tratterebbe di fornire delle stime capaci di mostrare non solo le consuete evidenze sulla disoccupazione, ma anche il potenziale “guadagno sociale” derivante dal fatto che un certo numero di persone si sta tenendo alla larga da forme di lavoro inverso ad elevato tasso di autofagia.