Perché Euripide

Il senso di un riferimento

Baccanti è la tragedia di una madre che, del tutto inconsapevolmente, uccide il proprio figlio.
Agave è la società che uccide i suoi figli, che dilania il loro futuro e che incenerisce le loro speranze.

Agave è l'Italia.

L'Italia è Agave: una donna forte, ma smarrita, che non ha ancora capito cosa sta facendo ai propri figli.

Il mercato del lavoro è il nostro Citerone, un terreno infettato dalla follia, dove non si riesce più a distinguere una belva feroce da un essere umano, dove il lavoro assorbe più ricchezza di quanta riesca a produrne.

A Tebe, perlomeno per il momento, stanno tutti bene e la vita continua a scorrere tranquilla. Lì vivono le vecchie generazioni, i castigatori dei bamboccioni, quelli che hanno lavorato duro e che credono che questo, oggi, basti per costruire case, comprare auto e andare in vacanza due settimane all’anno a Rimini.

Ai loro occhi, quelle più giovani sono generazioni di baccanti, che pensano al divertimento e che hanno un approccio alla vita inutilmente superficiale.

I tebani ci regalano i loro soldi, per comprare l’iPhone, la city car e, qualche volta, persino il lavoro. Ci fanno studiare, ci offrono paternalistico appoggio e, quando serve, serafici consigli.

I tebani vedono che non ce la facciamo, che siamo incapaci di qualunque forma di emancipazione, ma continuano a pensare che la nostra situazione sia, in qualche modo, frutto di nostre non meglio specificate colpe. Non riescono a capire che Dioniso è arrivato in città e ci ha reso tutti folli.

A proposito, chi è Dioniso in questa quotidiana tragedia?

Dioniso è la mentalità che attraversa il mercato del lavoro. È l’aria che si respira sul Citerone.

C’è Dioniso nella convinzione che lavorare sia comunque una virtù, a prescindere dal guadagno e dagli impatti che questo può creare sulla nostra libertà.
C’è Dioniso nella protervia con cui si difende l’idea che il lavoro sia una benedizione e che, oggi come oggi, sia una fortuna il solo, semplice fatto di averne uno, anche se, per tenerselo stretto, occorre pagare.

Dioniso è il consulente delle Risorse Umane superpagato, che pontifica sull’importanza delle leve motivazionali di natura non monetaria, ma che svolge il suo lavoro solo dietro lauto compenso. Ve lo immaginate uno che vi spiega l’importanza di una dieta vegana, mentre sbrana un capretto? O un promotore della mobilità sostenibile, che parla dal predellino di un Hummer, che divora un litro di benzina ogni 4 km?

E, poi, c’è Cadmo, colui che finge di parlare nel nostro interesse e per il nostro bene. Cadmo ci invita, con profonda calma, ad accettare lo stato delle cose, ad evitare ogni forma di ribellione, perché la realtà è questa e non possiamo farci niente. C’è Cadmo nella politica disillusa, nel vuoto mestiere di chi ha capito che rappresentare fintamente il popolo è il modo migliore di curare autenticamente i propri interessi.

In più, c’è un particolare non irrilevante:
Cadmo non è solo il padre di Agave, ma anche di sua sorella, Semele, la donna che, unendosi a Zeus, ha dato alla luce Dioniso.

Cadmo, quindi, non è solo il nonno di Penteo, ma anche il nonno del dio dell’estasi. Ecco che, aggiungendo questo dettaglio, le parole di Cadmo assumono un significato ben diverso e ci mettono di fronte a un dilemma: chi ci invita alla rassegnazione, all’accettazione dello status quo, da che sentimento è mosso? Cadmo parla per il bene di Penteo o per il bene di Dioniso?

Un rappresentante politico che ci invita alla calma, al muto adattamento, parla in difesa della pace sociale o in difesa degli interessi di chi, proprio grazie a quel silenzio, sta costruendo altari in onore dell’indigenza?

A dare manforte a Cadmo ci pensa Tiresia, l’indovino cieco che tutto vede. Tiresia è l’esperto, colui che sa come funziona il mondo, il difensore dell’apparato produttivo, il guardiano dell’economia, colui che, forte della legittimazione ricevuta dai tebani, continua a raccontare la bellezza di un mondo che è di là da venire, anche se adesso non ci crediamo e siamo preda dello sconforto.

Tutti si rivolgono a lui con incondizionata fiducia, perché chi parla bene e con calma non può essere un bugiardo. Inoltre, l’uso di una terminologia costantemente in bilico tra il tecnico e l’incomprensibile è, di per sé, garanzia di affidabilità.

Inutile ribadire che esiste un Penteo per ogni giovane alle prese con le traversie occupazionali del nostro mondo. Penteo si interroga, non si accontenta delle verità precostituite, acriticamente accettate dai tebani e promosse, soprattutto, da Cadmo e da Tiresia.

Penteo vuole cercare la sua verità, vedere con i propri occhi e, nel perseguimento di questo scopo, fa qualcosa che è ritenuto imperdonabile: dubita della divinità di Dioniso.

Avanzare questo dubbio, oggi, equivale a mettere in discussione l’apparato economico-produttivo che ci circonda e, di conseguenza, i modelli di occupazione da esso scaturenti. Avanzare questo dubbio equivale a recarsi sul Citerone, per capire quanto veramente degradata sia la percezione della verità economica che gravita intorno alle nostre vite.

C’è Penteo in chi non pensa per partito preso. C’è Penteo in chi osa andare contro il sentire comune, in chi si è accorto che il pensiero economico, nell’animo di alcuni, si è trasformato in una vera e propria religione, con tanto di sacerdoti, rituali e templi.

Penteo non ci sta e osa fare ciò che non avrebbe mai dovuto fare: non riconosce in Dioniso un dio. Non credere alla divinità di Dioniso, però, significa auto-condannarsi alla distruzione, che, nel nostro mondo, equivale a un destino di profondo disincanto, dove ad essere fatti a pezzi non sono i corpi, ma le certezze.

Alla fine di tutto, è Agave che uccide Penteo, ma, come potete immaginare, la sua mano è armata dalla follia e la sua follia alimentata da un intreccio di vicende non totalmente sotto il suo controllo.

L’Italia è la madre che uccide i suoi figli, l’esecutore materiale di un delitto che non può e non deve essere letto nel ristretto perimetro del suo manifestarsi.

Se crediamo all’inconsapevolezza di
Agave, dobbiamo riflettere sul fatto che nulla è più tragico della storia di un’assassina a sua volta vittima di sordidi raggiri, che ne hanno fiaccato la lucidità.

Non dobbiamo abbandonarci a sentimenti di condanna sbrigativi e miopi.

Non è la mano che dobbiamo guardare, ma la mente.

Talvolta, la morte arriva prima del colpo fatale e chi ci uccide non è chi ci colpisce, ma colui che ha sussurrato nell’orecchio del nostro assassino le parole suadenti e false che hanno distrutto la ragione.

Agave può ancora rinsavire, ma c’è bisogno dell’aiuto di tutti. È necessario che i tebani si accorgano che i tempi sono cambiati e che quel mondo, nel quale hanno lavorato e costruito il loro passato futuro, non esiste più.